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"Nel ritratto di Andy Warhol di Aurelio Amendola, donato agli Uffizi dal celebre fotografo, si esprime al diapason l’incontro tra i due artisti, che dai ricordi dello stesso Amendola sappiamo essersi svolto senza scambi di parole, per via della barriera linguistica, seguendo comunque la dinamica della divisione dei ruoli tra regista e attore. E così, sorprendentemente, il protagonista più dissacrante della pop-art, che pure aveva intriso di colori fluorescenti il ritratto proprio e altrui, viene immerso nei rigori del bianco e nero, e trasfigurato in una dimensione quasi mistica. Ecco il Warhol di Amendola: silenzioso e solenne come un idolo senza tempo, prosciugato, strappato al conforto dell’ombra da una luce freddissima – poche ma taglienti sciabolate di bianco che sembrano altrettanti colpi di scalpello, e che ne assimilano i tratti alla materia inerte della scultura sullo sfondo. La grande pozza buia in cui è immerso il lato sinistro del volto è imbevuta di tragedia. Il tracciato del chiaroscuro su questa fisionomia sofferente sembra la metafora stessa di un passaggio tra la vita più brillante e il mistero della morte, la trasposizione grafica di un’esistenza spesa sotto riflettori accecanti che d’improvviso viene attratta nel nulla-nero di un aldilà inconoscibile. Eppure l’immagine trascende l’intenzione didascalica, e invece sublima, e umanamente compatisce, la solitudine irraggiungibile del personaggio."
- Eike D. Schmidt
In Andy Warhol fotografato da Aurelio Amendola. New York 1977 e 1986, essays by E.D. Schmidt, A. Natali and W. Guadagnini, exhibition catalogue (Firenze), Bologna 2016, p. 5.
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Aurelio Amendola, Andy Warhol, the Factory, New York, 1986